“Notte di Leggenda” di Alberto Franchetti
nelle impressioni critiche di G. B. Nappi (da “Orfeo”, anno VI, n.3, 1915)
La cronaca della serata è breve ed assai lieta. Il pubblico che affollava quasi tutti i posti della Scala, seguì con costante vivissima attenzione lo svolgersi dell’atto unico di quest’opera, della quale gli veniva offerta la primizia.
Gli spunti d’applausi che di quando in quando accennarono alla soddisfazione di parte degli spettatori, erano forse dedicati più agli artisti scenici che alla musica. Si sarebbe detto che l’assemblea volesse serbare il suo giudizio a spettacolo finito. Infatti, dopo un’ora e trentacinque minuti calato il velario, gli applausi risuonarono vivissimi per la sala, con un grande crescendo quando, dopo la prima chiamata agli artisti, apparve con essi il maestro Franchetti, che fu obbligato dalle acclamazioni a ripresentarsi ben cinque volte, la penultima col maestro Marinuzzi, e l’ultima, solo, fatto segno ad una imponente ovazione.
Il pubblico della Scala volle, nel modo più eloquente, dimostrare al maestro Franchetti la sua compiacenza di rivederlo ancora sulla ribalta ove mancava da nove anni.
Ma il pubblico si è dichiarato totalmente persuaso del valore dell’opera d’arte? Notte di leggenda leggittima questa grande sosta nell’attività dell’illustre maestro? Ha egli voluto raccogliersi a lungo per prepararsi – come il protagonista della seconda opera, del suo capolavoro, – alla conquista di nuove regioni ove crescono forse lussureggianti i fiori d’un’arte, dei quali non abbiamo ancora aspirato il profumo?
Mi pare che con questo lavoro Alberto Franchetti non ci inalzi in una nuova e pura sfera di emozioni fin qui mai provate.
Ci troviamo di fronte – lo potevamo prevedere anche in precedenza – alla produzione di un artista eminente, di cui l’Italia si onora, ma non ci siamo avvicinati a quella affermazione che avrebbe dovuto essere la pietra miliare per dare ai colleghi di lui, la via maestra, perché troppo sparpagliata per viottoli traversi che non conducono certamente a sicura meta.
A quale criterio s’ispirò il maestro Franchetti scrivendo quest’opera? Non è facile dirlo. Pur mantenendoci nel campo delle induzioni non ci scosteremo però dal vero pensando che abbia voluto, di partito preso, fare opera di reazione al dilagare dell’ipermodernismo inquinato da esotici elementi, e ricondurre il melodramma alle tradizioni dell’arte nazionale.
Tornare all’antico sta bene, vi è tornato Verdi, e in quale maniera, col Falstaff, pur valendosi dei procedimenti moderni. Ma il Franchetti non si è peritato di tornare talvolta alle vecchie forme del melodramma. Certamente egli non vi si sofferma troppo, ma gli bastò sfiorarle queste vecchie forme sconsacrate dai principi estetici ora vigenti, per ingenerare un notevole squilibrio di stile, di maniera, tanto che l’opera parrebbe concepita qua e là da due autori diversi, se non vi fosse il grande magistero dell’istrumentatore a dichiararla figlia di … un solo genitore.
La musica di Notte di leggenda non ha, a parer mio, un carattere deciso. È sincera?
Il maestro è sempre poderoso, sempre nutrito, sempre sicuro espositore delle sue ideazioni musicali. È un gran signore che spende generosamente le sue rendite, ma che talvolta le sacrifica, queste rendite, ad una intrapresa che non ne sarebbe degna; facendo così risaltare la contraddizione tra i mezzi ed il fine.
Il libretto prescelto dall’eminente artista può alimentare i sospetti dianzi accennati: che egli abbia cioè avuto il peculiare intendimento di imporsi con una vicenda tragica a forti tinte, che non vivesse quasi di vita propria, ma pei particolari decorativi per gli elementi puramente lirici di cui fu arricchita.
Il signor Forzano, quantunque nuovo al teatro di musica, ha assecondato il meglio possibile le intenzioni del compositore. Il libretto di Notte di leggenda meglio risulta alla scena che alla lettura.
Il suo autore rileva una notevole intuizione delle esigenze della musica, non infittisce di episodi antitetici la tela drammatica. Il suo lavoro mi dà peraltro l’impressione di quei quadri di paesaggio che non sono la riproduzione del vero, ma che riuniscono invece come imposizione d’un tema obbligato, piuttosto affastellati, alcuni motivi pittorici, impressioni precedentemente raccolte qua e là dall’artista nel suo carnet. È dunque quello di Notte di leggenda un quadro drammatico, di maniera, imbottito di inverosimiglianze, di incongruenze. Ma qual’è quel libretto che possa al riguardo… gettare la prima pietra?
Angustia di spazio non mi permette di fare la diagnosi di questo lavoro poetico, che, forse, avrebbe avuto maggiore resultato se non fosse stato condensato in un atto solo. Mi pare, però, che il Forzano avrebbe dovuto prendersi la cura di dare alle figure del suo quadro, una impronta meno melodrammatica o convenzionale, rendendole più significative, più vive in una parola.
Se però, poeta e musicista si sono proposti di raggiungere coll’opera loro il risultato della teatralità propriamente detta, non si potrà contestare che essi sieno riusciti nel loro intento. L’opera avvince il pubblico alla rappresentazione scenica. Sarà una suggestione superficiale, provocata da pura esteriorità di mezzi, ma è innegabile che gli spettatori seguono con interesse, da capo a fondo, lo svolgersi della produzione. La musica, anche per la sua sapiente e colorita elaborazione, si ascolta volontieri. Ma essa non mette mai le penne per innalzarsi ad altissimo vertice dell’arte.
Dicesi che Donizetti consigliasse ai maestro italiani di cantar meno. Il monito non potrebbe essere oggi raccomandabile ai nostri musicisti, eccezion fatta forse di Franchetti. Egli canta fin troppo; canta anche in orchestra, la quale, per quest’opera, non costituisce la parte illustrativa del dramma, ma soltanto l’involucro della melodia. V’hanno qui molte situazioni drammatiche che per l’insistenza del discorso melodico cantato, o per la cantillazione, perdono della loro efficacia.
La declamazione cantata fu il fulcro delle primissime opere del teatro nazionale. Monteverdi ne fu l’ideatore. Essa riesciva ad esprimere i sentimenti nelle loro diverse manifestazioni meglio della melodia venuta poi colle forme quadrate ed accademiche. Ed il maestro Franchetti, che per la seconda parte del suo lavoro si valse maggiormente di questa declamazione, ha meglio conseguito lo scopo di dare accentuazione alle culminanti situazioni del dramma. La seconda parte è, senza dubbio, la migliore della partizione.
Ma qualche altro rilievo mi sia consentito di fare dopo aver assistito la seconda rappresentazione.
L’opera d’arte non può nascondere, a me pare, il vizio d’origione di cui è afflitta. Vale a dire l’incertezza dei suoi propositi, quando non si debba ammettere la sua troppa accentuata simpatia per le forme convenzionali del melodramma, oggi disusate e che non si potrebbero più ormai ammettere nei santuari dell’arte lirica d’ogni paese.
Mi rafforzo dunque nella convinzione che il maestro Franchetti abbia errato credendo di poter procedere al rinnovamento del melodramma nazionale – che infatti fu in questi ultimi tempi trascinato dalla corrente di tendenze ultramontane, le quali, oltrepassando le nostre frontiere si mutarono nelle sterili sabbie del puro e semplice formalismo, – camminando a ritroso.
Per solidità d’ingegno e di dottrina, l’autore di Notte di leggenda avrebbe invece dovuto librarsi audacemente nelle più alte sfere dell’arte, senza rinunziare, s’intende, alle sue salde convinzioni nazionalistiche. Quand’anche egli non fosse stato pel momento compreso ed apprezzato, nulla avrebbe avuto a temere per la sua artistica riputazione cementata dai precedenti lavori, in ispecie da quel Colombo che resta sempre uno dei migliori documenti moderni del nostro teatro di musica.
Arrigo Boito col Mefistofele non minacciò forse di essere… crucifisso sempre come un reprobo; come un artista sovversivo? Ed Arrigo Boito non aveva al suo attivo allora precedenti vittorie. Eppure il tempo, la pubblica opinione gli resero presto giustizia.
Come Mefistofele fu la manifestazione di un’arte pura e sincera, e che perché pura e sincera, corrisponde ancora alle esigenze ed ai gusti dei pubblici dell’ora presente, Notte di leggenda, giunta a noi dopo nove anni di raccoglimento da parte del suo autore, avrebbe dovuto essere la diana che inneggiasse veramente alla rinascita del dramma musicale italiano, da troppo tempo a discrezione d’interessi che colle pure finalità dell’arte poco o nulla hanno a che fare.
Purtroppo invece questa nuova opera di uno tra i più forti nostri maestri dell’ora presente, non ci toglie da quel periodo di transizione che dura ormai tanto… quanto la quistione d’Oriente.
Noi restiamo dunque col desiderio, colla speranza che presto Alberto Franchetti faccia scaturire le pure e fresche fonti della ispirazione cui noi dovemmo per opera dell’Asrael e delColombo emozioni profonde, che non si cancellano.
Egli non ha forse l’indole portata dai drammi passionali, ma per quei soggetti, ove l’elemento fantastico, romantico ed epico domandano al sinfonismo ed ai grandiosi quadri corali, il loro poderoso ausilio.
Alberto Franchetti sa che a questo riguardo non può avere rivali, e che la sua vittoria in questo campo verrebbe proclamata senza riserve dal pubblico e dalla critica. Che ci sia presto la soddisfazione di annunziarla.
L’esecuzione fu ottima. Il maestro Marinuzzi l’ha portata alla perfezione con una operosità indefessa e coll’investigazione acuta di tutte le intenzioni dello spartito. È stato egregiamente assecondato dal maestro Romeo, direttore dei cori che hanno qui un assunto arduo ed importante.
Cecilia Gagliardi fu una Vanna di grande drammaticità, attrice degna di competere colle maggiori celebrità delle nostre scene di prosa, cantante eminente, dalla voce che si piega a tutte le espressioni con singolare e sicura evidenza.
De Luca, nella parte difficilissima del giullare, diede prova ancora brillantissima dei suoi titoli canori e drammatici. Vivace ed appassionato ad un tempo.
Il tenore Polverosi sacrificato in una parte di scarso rilievo, si è fatto apprezzare per la bella tempra della voce di cui sa valersi colle raffinatezze del cantante si scuola.
Egregiamente i bassi Cirino e Ferroni.