Associazione per il musicista Alberto Franchetti

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La musica

La musica di “Germania”

di Julian Budden


Sebbene inserito nella “giovane scuola”, alla cui generazione certo appartenne, Alberto Franchetti presto venne a trovarsi in una posizione distinta dla quella dei compagni di strada. Completati gli studi a Monaco di Baviera con Josef Rheinberger grande organista e compositore, e a Dresda con Felix Draeseke e Edmund Kretschrner, Franchetti aveva acquisito una tecnica accademica formidabile e versatile, tanto da potersi presentare al pubblico con una sinfonia in quattro movimenti di stile classico. Eseguita per la prima volta a Dresda e più tardi a Reggio nell’Emilia, godé di una discreta circolazione in Italia e all’estero. Tuttavia, alla stregua di quasi tutti i contemporanei italiani, le mire di Franchetti erano puntate fermamente sull’opera, ed è in questa sfera che la sua personalità si delinea più chiaramente.

Alberto con Luigi Illica
Alberto con Luigi Illica

In una ben nota lettera alla moglie, Ponchielli riferisce un incontro con Verdi, nel corso del quale la conversazione era caduta su Puccini, “il cui genere di musica non ci piace, perché segue le pedate di Massenet, Wagner, ecc.”. Di fatto, le obiezioni di Ponchielli si applicano alla “giovane scuola” in generale. Wagner, in realtà, era più ammirato che seguito (“Papà di tutti i maestri presenti e futuri!”, secondo Mascagni). Massenet. d’altra parte, benché se ne parlasse di meno, aveva un’incidenza assai maggiore: l’articolazione duttile e varia, la delicata pulsazione degli accompagnamenti, l’arco spesso irregolare delle frasi melodiche divennero modelli eminenti per le partiture di Puccini e dei contemporanei (lo furono di meno per Leoncavallo). Su Franchetti, invero, Massenet non lasciò tracce. Ne lasciò, invece, Wagner; ma per quanto il linguaggio armonico del musicista torinese riveli una certa dimestichezza con i procedimenti dei Musikdrarnen tardivi – il duetto tra il protagonista e la giovane zingara Loretta in Asrael, la prima opera di Franchetti (1888), contiene ovvi echi di «0 sink’ hernieder, Nacht der Liebe» dal Tristano e Isotta -, è il compositore del Rienzi, del Tannhäuser e del Lohengrin ad essergli più congeniale. Le melodie cantate sono per la maggior parte ampie e regolari, la loro quadratura metrica si espande per progressioni e modulazioni successive prima di giungere alla cadenza finale, assai spesso evitata (alla maniera di Wagner) al fine di agganciarsi a ciò che segue; né peraltro le sue forme di taglio ternario terminano sempre nella tonalità da cui sono partite. A Franchetti disdice l’elasticità del ritmo tipica del linguaggio dei suoi contemporanei più en vogue. Egli era portato per il gesto grandioso, capace d’illustrare eventi storici sensazionali; il che spiega perché Verdi lo abbia indicato come il compositore più adatto a scrivere l’opera per il quarto centenario della scoperta dell’America (il Cristoforo Colombo, 1892, libretto di Luigi Illica), e perché i suoi successivi tentativi in una vena più leggera Fior d’Alpe (1894) e Monsieur de Pourceaugnac (1897) – non ebbero gran successo e vennero presto dimenticati. Con Germania, Illica confidava di aver ricondotto Franchetti «alla grande via maestra dell’Asrael e del Colombo», com’ebbe a scrivere al padre del compositore.

Qui, col tema dell’insurrezione nazionale incrociato ad un triangolo amoroso tra patrioti, ritroviamo la Battaglia di Legnano di Verdi, ma all’in grande e rimpinzata di un gran numero di episodi. Per procurare un color locale specifico – a questa data, è un requisito primario nell’opera italiana – Franchetti ricorre alla canzone popolare tedesca «So viel Stern’ am Himmel stehen», cantata tale quale dalla mendicante Lene Armuth col suo nipotino Jebbel. Per conferire una certa unità ad un affresco dalle proporzioni vaste e dispersive, Franchetti fece un uso di temi ricorrenti più abbondante di tutti i suoi contemporanei salvo Puccini, ma con questa differenza: mentre il lucchese modifica di raro i motivi ricorrenti (e in ogni caso non più dopo La bohème) e però attribuisce loro significati variabili a seconda del contesto, Franchetti li manipola di frequente, abbreviandoli o allungandoli o alterandone l’armonia, senza però mai mutarne i connotati. Come di consueto, tali temi si dividono in due specie: le reminiscenze di passaggi dapprima cantati, e i motivi orchestrali che etichettano un dato personaggio o stato d’animo. Così, il ricordo della seduzione di Ricke da parte di Worms, il baritono antagonista, è affidato ad un’agitata figura cromatica dei bassi sotto il tremolo degli archi. A Ricke è associato un motivo timido ed esitante, che modula senza posa, come fosse restio ad acquietarsi nella cadenza.

Alberto all'epoca di "Germania" (1902)
Alberto all’epoca di “Germania” (1902)

Entrambe le idee si prestano al concatenarsi delle progressioni; e il loro frequente giustapporsi costituisce in Franchetti il punto di massimo avvicinamento alle tecniche dello sviluppo wagneriano. L’altro tipo di tema ricorrente è alla base del primo assolo di Worms («Io pure la visione»). Lo precede una lenta marcia, intessuta di delicati squilli di fanfara in dialogo con la voce: indi, alle parole «E’ la patria contrada», prende l’abbrivo un periodo melodico che, col suo incipit, verrà richiamato per evocare l’anelito all’indipendenza della nazione, ma solo nel prologo, e comunque sempre associato a Worms. Egli stesso è scettico circa la volontà degli studenti di appoggiarlo; donde la successiva citazione del «Gaudeamus igitur», che viene a simboleggiare la sregolatezza giovanile, ma con una curiosa inflessione ironica conferitagli dall’armonia dissonante. Federico, che sopraggiunge con i capi dei ribelli, reca con sé una nuova melodia di 36 battute raddoppiata per intero dall’orchestra («Studenti! Udite, o voi, antichi e nuovi amici»): il motivo iniziale sarà di qui in poi associato al Tugendbund. Tale motivo verrà a sua volta sviluppato in un travolgente crescendo, che culmina nell’inno di Weber sui versi del poeta-soldato Theodor Körner, Lützows wilde Jagd (La caccia selvaggia di Lützow), proclamato a gran voce in un concertato di solisti, coro e orchestra: vi partecipano Weber, Körner e Lützow in persona! Anche questo tema fungerà da reminiscenza, progressivamente turbato da una nostalgia amara, man mano che si dipanano gli eventi.

E’ ancora Federico che, dopo l’insuccesso della campagna del 1806, rievoca le proprie disavventure in un lungo discorso, liberamente modulante («Son come molti un profugo») il cui tessuto orchestrale, fittamente intrecciato, testimonia un tasso di dottrina del tutto insolito in un compositore italiano. Tanto più efficace risulta perciò la distesa cantilena diatonica che di lì a poco viene ad esprimere tutto l’amore e la fede del patriota («Onde amo e vivo e credo»). Un simile clima espressivo, ma ancor più delicato e tenero, permea l’andamento iniziale del duetto d’amore con Ricke («No, non chiuder gli occhi vaghi »), preceduto da una breve scena («Ah, vieni qui») che ingloba il motivo della ragazza. Dei due rimanenti assolo di Worms, il primo («Ferito, prigionier, volli fuggire») inizia con un declamato che richiama l’attacco di «Io pure la visione», passa poi per una sezione di musica pianamente descrittiva, per concludere di nuovo con un lungo periodo melodico. Il secondo «Orsù, finiam») è in gran parte un parlante declamato sopra una variante in modo minore del tema del Tugendbund. «All’ardente desìo» di Ricke ha una struttura ternaria che coniuga due temi: il primo. sentito in precedenza nell’orchestra. simboleggia il senso di colpa per aver ceduto alle brame di Worms; l’altro, che permea l’episodio centrale, è un’estensione del motivo di Ricke, affidato qui per la prima ed unica volta al canto.

La novità più sorprendente è, beninteso, l’Intermezzo sinfonico. Esso fu pubblicato in origine corne pezzo da concerto col titolo Nella Foresta nera, il che pare strano, dal momento che nell’opera la scena è collocata nella piana presso Lipsia; ma la visione celeste evocata conta più del luogo geografico. E’ chiara, qui, l’influenza di Liszt, specialmente all’inizio, dove una successione di idee è dapprima esposta e poi ripetuta identica ma in una tonalità lontana. Non ci sono reminiscenze tematiche, ma semmai un lampeggiante sfoggio di bravura orchestrale corroborato dall’aggiunta del coro. E’ convincente, per converso, che, il duetto finale tra Ricke e Federico morente («O tu che mi soccorri») sia introdotto dal motivo del Tugendbund, sottoposto per due volte a distorsione armonica, indi raddrizzato nella sua forma originale. infine immediatamente seguito dal tema di Ricke. Da qui la musica procede per una serie di periodi lirici, alla maniera consueta di Franchetti. La rievocazione del “maledetto” Worms determina la momentanea riapparizione della sua figura cromatica; e nell’istante in cui Ricke ne riconosce il cadavere tra i caduti riaffiora anche il lugubre incipit dell’Intermezzo sinfonico. Un nuovo motivo, di carattere sepolcrale, accompagna la figura di Napoleone che passa in lontananza, tetro e muto dopo la sconfitta. Lo si risentirà nell’apoteosi finale, mentre Federico spira proclamando «O libera Germania!» e il tema del Tugendbund erompe a piena orchestra, sovrastato da una melodia acuta: degna conclusione di un’opera che rappresenta un raro esempio di fusione della tradizione tedesca con quella italiana.

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