Associazione per il musicista Alberto Franchetti

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La fortuna

La fortuna di “Germania”

di Giorgio Gualerzi


Ancora non si era spenta l’eco suscitata dall’undicesima (e ultima) recita di Germania, andata in scena alla Scala l’11 marzo 1902, che già Enrico Caruso, il primo Federico Loewe, accompagnato al pianoforte da Salvatore Cottone, ne incideva – un mese più tardi, con un singolare record di tempestività – l’arioso «Studenti! Udite» dal Prologo (poi seguito dall’aria «No, non chiuder gli occhi vaghi » dal primo quadro). Era anzi, per la precisione, il primo dei mitici dieci dischi che il giovane e non ancora celebre tenore, dietro compenso di ben cento sterline, aveva inciso per la Gramophone & Typewriter. Essi costituiscono dunque l’iniziale apporto di Caruso alla storia del disco, che in questo caso (come anche nel caso delle contemporanee pagine di Tosca e Iris che fanno parte di questo gruppo di incisioni) coincide con la storia stessa dell’opera.

Certo, al di là della fortuna, incredibile ma ampiamente meritata, accaduta a Caruso, nella cui gola la G&T a sua volta intuì l’esistenza di un’eccezionale vena aurifera, questa tempestività è anche l’indizio più sicuro del successo indiscutibile, di pubblico e di critica, incontrato dall’opera di Alberto Franchetti. Naturalmente alla causa franchettiana giovò non poco l’eccellenza dell’esecuzione vocale e strumentale, frutto dell’appassionato impegno di Arturo Toscanini, che si valse di uno scelto gruppo di cantanti, fra i quali, accanto a Mario Sammarco e Amelia Pinto, s’impose, nonostante le iniziali precarie condizioni fisiche, Caruso. Ciò è testimoniato, fra l’altro, dalla replica di due “pezzi” e dalle quindici chiamate all’autore. Vedeva giusto, in sintesi, il critico del «Sole», secondo il quale, «oltreché il compositore dotto, in Germania si afferma, come già nel Colombo, il melodista originale, il colorista efficace, il musicista insomma completo».

Non è solo la critica milanese ad accogliere favorevolmente l’opera di Franchetti. Trascorrono due anni e anche un recensore genovese si allinea ai colleghi di altre città nel dare atto della «sincera e profonda ammirazione» riservata a Germania, con cui si «riafferma solennemente la fama di musicista dalle grandiose concezioni, dall’alta genialità dell’ispirazione, dalla profonda conoscenza della tecnica musicale, che il maestro Franchetti si è conquistata coll’Asrael e col Colombo». Nei due anni passati nel frattempo tale era stato il successo dell’opera che Germania aveva percorso in lungo e in largo la penisola, trovando ospitalità in una pletora di teatri, dai maggiori ai minori (con alcune significative escursioni all’estero), a cominciare dal Grande di Brescia già nell’agosto di quel medesimo 1902.

Pareva insomma di essere retrocessi di quasi quarant’anni, ai tempi di Ruy Blas e del Guarany, opere che per decenni godettero di ampia, e persino eccessiva, notorietà, per poi essere rapidamente soppiantate proprio da certa produzione novecentesca, a sua volta caduta nell’oblio una volta passata l’ondata di piena. E’ appunto il caso di Germania, che fra il marzo 1902 e l’aprile 1905 mette insieme qualcosa come una trentina di teatri fra italiani e stranieri. Segno evidente delle qualità oggettive dell’opera, ma anche della potenza di Casa Ricordi, impegnata fino allo spasimo nell’acerrima guerra contro l’editore Sonzogno.
A questo successo dalle proporzioni abnormi, tuttavia, non furono probabilmente estranei altri fattori, quali la florida posizione economica di Franchetti, che godeva dell’appoggio della lobby massonica, e il suo legittimo desiderio di celebrare la Germania, patria dei suoi profondi studi. Un atteggiamento, quest’ultimo, che veniva a inserirsi nel trend politico-culturale a cavallo dei due secoli tendenzialmente favorevole alla Germania, cui del resto l’Italia era legata dalla Triplice Alleanza (erano anche gli anni in cui Leoncavallo lavorava al suo Roland von Berlin per celebrare i fasti degli Hohenzollern impersonati dal Kaiser Guglielmo II).

Germania_carusoEra inevitabile che questo successo si riflettesse rapidamente anche sul mercato fonografico, che intanto andava abbozzandosi in pochi tratti peculiari. Ne saranno tosto coinvolti alcuni fra i cantanti più significativi che avevano preso parte alle edizioni di maggior rilievo nel periodo preso in esame. Tanto per cominciare i tre “creatori” scaligeri, nell’ordine Enrico Caruso, Mario Sammarco (anche per lui si tratta del primo disco, relativo a un non meglio precisato Racconto, che dovrebbe essere «Ferito, prigionier») e, nell’unica incisione significativa di un soprano, Amelia Pinto, interprete dell’appassionato sfogo di Ricke nel primo quadro. Li ritroviamo tutti in alcune delle principali riprese di Germania: la Pinto a Lisbona (1907); Sammarco a Brescia (1902), Bologna (1902), Roma (1903), Palermo (1905), Parma (1907), Londra (1907); Caruso nelle due Americhe, prima a Buenos Aires (1903), poi nel 1910-11 a Philadelphia, Chicago e due volte al Metropolitan, circostanza quest’ultima che lo spinse a reincidere nel 1910 le due pagine di Federico Loewe. Sono naturalmente le stesse che i due interpreti di Federico alla ripresa scaligera di Germania nel gennaio 1904 (altro segnale della fortuna di un’opera) incideranno per conto della Fonotipia: dapprima, nel 1907, il celebre catalano Francese Vinas (ma l’appello agli studenti, suo primo disco, era già stato inciso addirittura nel 1903); poi, nel 1911, Giovanni Zenatello. C’è ancora posto per un paio di tenori di spicco, che hanno inciso, entrambi per la Fonotipia, «Studenti! Udite»: innanzitutto Edoardo Garbin, il secondo Federico in assoluto (a Buenos Aires e a Montevideo nel luglio-agosto 1902), poi il francese Mario Gilion, che nel marzo 1905 prende parte alla “prirna” locale di Odessa. Al pari dei tenori anche baritoni fra i maggiori, tutti scritturati dalla Fonotipia, non si tirano certo indietro nei confronti di Germania, incidendo tutte o alcune delle pagine cantate da Carlo Worms. In particolare, sulla scia di Sammarco, si mettono in evidenza esponenti della generazione del Settanta: da Pasquale Amato, compagno di Caruso nelle recite americane, a Giuseppe De Luca, presente a Napoli (1902) e a Buenos Aires (1903); da Riccardo Stracciari, attivo a Lisbona (1903), a Domenico Viglione Borghese, presente nella tournée sudamericana del 1910 e a Reggio Emilia nel 1921. Si aggiunge a loro – con l’incisione di «Ferito, prigionier», realizzata nel 1908 su un cilindro Edison – Carlo Galeffi, interprete di Worms al Dal Verme di Milano nel novembre dell’anno successivo. Particolarmente importante appare la sua presenza, poiché essa coincide con l’edizione di Germania del maggio 1929 alla Scala; propiziata da Toscanini, che non aveva mai nascosto le sue simpatie per Franchetti, essa conclude la grande parabola iniziata nel marzo 1902.

Bisogna tuttavia ulteriormente sottolineare come la popolarità di quest’opera è documentata anche dalla presenza, in sede fonografica, di cantanti meno rappresentativi quali, ad esempio, il baritono Matteo Dragoni, cui corrisponde, fra i tenori, Giuseppe Agostini. Cantante di seconda schiera è anche Piero Pauli, un altro catalano che, sul finire degli anni Venti, incide i due brani tenorili, mentre contemporaneamente c’è ancora posto per due edizioni radiofoniche mandate in onda da Torino e Roma all’inizio degli anni Trenta. A questo punto l’ondata di riflusso si è fermata e per Germania non c’è più posto, salvo in sede rievocativa: Reggio Emilia se ne ricorda in occasione del cinquantenario (ritardato) della “prima”, mettendone in scena il 20 gennaio 1953 una decorosa edizione e sedici anni dopo la RAI ne proporrà un’ampia selezione.


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