Associazione per il musicista Alberto Franchetti

Home » Le composizioni » Opere liriche » Cristoforo Colombo » La versione scenica

La versione scenica

La versione scenica

di Mercedes Viale Ferrero


001I bozzetti delle scene per Cristoforo Colombo furono ideati da Ugo Gheduzzi, i figurini da Adolf  Hohenstein: artisti che ebbero entrambi una parte rilevante nella storia della visione teatrale tra Otto e Novecento.
Gheduzzi. nato a Bologna nel 1853, nel 1874 fu assunto tra gli scenografi del Teatro Regio di Torino allora diretti da Augusto Ferri. Già nel 1879 con i bozzetti per Aida, Gheduzzi poté mostrare il suo personale talento interpretativo. e in parte innovativo, dei modelli canonici proposti dalle case editrici musicali. Divenuto in seguito scenografo titolare del Regio gli fu affidato da Giulio Ricordi il compito di ideare le scene (intese anche come prototipi esemplari) di due importanti “prime assolute”: Cristoforo Colombo di Franchetti (Genova, Teatro Carlo Felice, 6 ottobre 1892) e Manon Lescaut di Puccini (Torino, Teatro Regio, 1 febbraio 1893). In entrambi i casi i figurini furono disegnati da Adolf  Hohenstein; questi era nato a San Pietroburgo da famiglia tedesca nel 1854; era dunque coetaneo di Gheduzzi ma, a differenza di lui, non aveva avuto una specifica formazione teatrale. Giunto la prima volta a Milano nel 1879 dopo avere attraversato le Alpi a piedi. si era fatto conoscere in un campo grafico che nasceva allora, quello del manifesto. Da Milano era ripartito alla volta dell’Indocina dove aveva affrescato residenze di principi locali. Al suo ritorno nel 1884 aveva ripreso l’attività disegnativa per manifesti e intrapreso quella, per lui nuova, di pittore teatrale con l’Edgar di Puccini (1889). Nel 1893 si trovò ad attendere contemporaneamente ai figurini di Manon Lescaut e alle scene e figurini per il Falstaff di Verdi. La sequenza cronologica dimostra che Giulio Ricordi aveva provveduto a dotare Cristoforo Colombo di un valido supporto visuale affidandone l’allestimento ad artisti di provata qualità e che, d’altra parte, proprio questo incarico fu sia per Gheduzzi, sia soprattutto per Hohenstein, una sorta di trampolino di lancio verso successive e importanti commissioni. In alcune di esse i due ebbero ancora modo di lavorare di concerto. Gheduzzi mise in opera i bozzetti di Hohenstein par la “prima” della Bohème di Puccini al Teatro Regio di Torino (1 febbraio 1896); interpretò e realizzò con eleganza i modelli di Hohenstein per la Tosca pucciniana che al Regio giunse il 20 febbraio 1900, circa un mese dopo la prima rappresentazione a Roma. Poi le loro strade si divisero. Durante la preparazione delle scene e dei figurini per Germania di Franchetti (Milano, Teatro alla Scala, 11 marzo 1902) Hohenstein incontrò la sua futura moglie a Bonn, dove si trasferì nel 1903 e dove lavorò fino alla morte (1928) per manifesti, pitture, cieli decorativi. Gheduzzi continuò a risiedere stabilmente a Torino, attivo sia quale scenografo al Regio e in altri teatri, sia quale valente pittore di paesaggi. Partecipò anche ad iniziative spettacolari in luoghi extra-teatrali: “panorami” per feste e esposizioni, allestimento della sacra rappresentazione La Passione di N. S. Gesù Cristo nello spazio aperto dello “Stadium” (1923). A Torino morì nel 1925.

002

Per quanto diverse fossero state le loro formazioni, Gheduzzi e Hohenstein avevano in comune il gusto di ricercare nuove esperienze; da questo punto di vista il Colombo era una impresa stimolante ma anche rischiosa. Cristoforo Colombo nasceva – inevitabilmente – come opera celebrativa, qualifica abbastanza desueta e controcorrente da quando Otello aveva mostrato la disgregazione della figura convenzionale dell'”eroe” e la crisi dei valori morali su cui si fondava il melodramma tradizionale. Colombo era inoltre un’opera di contestuale ambientazione storica esotica: dunque secondo i concetti estetici allora vigenti., condivisi da artisti, critici e pubblico, avrebbe dovuto presentare, una accurata ricostruzione dei luoghi al tempo in cui era realmente avvenuta la vicenda, ma anche evocare la visione di un mondo nuovo e il dépaysement conseguente alla sua scoperta. In altre parole: occorreva creare due tipi diversi di quello che era allora definito “colore locale” cioè di un quid universalmente invocato ma che era impossibile precisare (pochi anni dopo qualcuno avrebbe lamentato la mancanza di “colore locale” nella Bohème di Puccini). Affermare che in Cristoforo Colombo Gheduzzi e Hohenstein riuscirono a superare ogni difficoltà sarebbe eccessivo ma certamente essi riuscirono a ottenere esiti di grande efficacia visiva e di abile invenzione strutturale.

003

Seguendo il filo dello scenario, la prima mutazione mostra il “Vasto cortile del convento di Santo Stefano a Salamanca”. Qui si proponeva a Gheduzzi un arduo compito, data l’abbondanza di cortili, chiostri, interni di conventi spagnoli nel repertorio operistico più frequentato, in un itinerario che andava dal “cloitre” di San Giacomo ne La Favorite al “ritiro in vicinanza di Castellor” del Trovatore, all’interno del convento della Madonna degli Angeli nella Forza del destino fino al chiostro di San Giusto del Don Carlo. Gheduzzi riuscì a non farsi condizionare da questi precedenti iconografici e risolse la scena con dignità. Più della cauta ricostruzione stilistica interessa la piantazione che prevede plurimi accessi praticabili per il movimento delle persone in scena, in una azione concentrata nei primi piani. Il muro divisorio, appena interrotto da cancelli. parallelo al proscenio segna il distacco tra lo spazio agibile e il “vasto” spazio illusivo dipinto in prospettiva sul fondale.
La seconda scena “L’oceano dalla Santa Maria” presenta in pianta un’analoga distribuzione dello spazio: azione in primo piano, fondale panoramico di trattazione pittorica. Ma qui l’attenzione è focalizzata sullo splendido giuoco di luci tra cielo e mare che attira l’occhio dello spettatore verso lo sfondo, al di là delle grandi vele simili ad enormi bandiere sventolanti. Nulla a che vedere con le rappresentazioni tradizionali di soggetti consimili come la scena dell’Africaine di Meyerbeer che proponeva “lo spaccato del bastimento” con “il primo ponte e l’interno del secondo” e in cui il mare era un elemento accessorio, mentre in Gheduzzi è una presenza essenziale, di preminente rilevanza. L’artista sembra più a disagio nel bozzetto per la terza mutazione: “Presso Xaragua sulle rive del lago sacro” che oggi (ma forse non allora) sembra troppo simile al volantino pubblicitario di una località turistica. Questo aspetto tuttavia si attenua nel modello della scena in forma di teatrino: pratica preparatoria che Gheduzzi usava spesso e di cui esistono anche altri esempi. Nell’ultima mutazione “A Medina del Campo. Oratorio reale” ancora una volta lo sfondo attrae l’attenzione, per l’intenso contrasto tra le cupe ombre della cappella e i luminosi lembi di cielo che traspaiono dalle finestre ogivali. La ricerca di stilizzazione storica, in questo caso, contribuisce a creare una forte tensione drammatica.

004

Il compito di Hohenstein era, in un certo senso, parallelo: l’artista doveva creare due diverse tipologie, quella dei personaggi europei e quella dei nativi del nuovo mondo. Sappiamo che Hohenstein nel suo lavoro usava appoggiarsi a modelli qualificati: per Falstaff alle illustrazioni dei drammi di Shakespeare disegnate da Gilbert e incise dai Dalziel per Bohème soprattutto alla grafica di Gavarni. Quali modelli egli abbia seguito per Colombo è ancora da ricercare, anche in connessione a eventuali suggerimenti di Luigi Illica rintracciabili forse nel Fondo Antico della Biblioteca Passerini-Landi a Piacenza.
V’era, per definire l’immagine del protagonista, un problema supplementare. Cristoforo Colombo aveva goduto di una notevole fortuna artistica a partire dal terzo decennio dell’Ottocento, testimoniata da varie opere in musica e, sul versante pittorico, da numerosi dipinti. Pelagio Palagi aveva descritto, in uno di essi, la sua partenza. in un altro il ritorno in Spagna dal nuovo mondo con “uno stuolo di quegli abitanti”. La partenza era stata raffigurata anche da Giuseppe Sogni, l’arrivo nelle credute Indie da Gallo Gallina. Qualche anno dopo due dipinti con episodi della vita di Colombo erano stati commessi a Delacroix da Anatolio Demidoff per la sua villa di San Donato, presso Firenze. Nei cataloghi delle Esposizioni si trovano menzionate altre immagini del navigatore. Buona parte di questa iconografia colombiana era stata diffusa da riproduzioni litografiche di larga circolazione sicché l’identificazione della fonte di Hohenstein se davvero va ricercata nei tableaux d’histoire – si prospetta complessa. Dai figurini si può quanto meno desumere che Hohenstein (come prima di lui Alfredo Edel) non disegnava soltanto degli abiti ma ritraeva dei personaggi in atteggiamenti che ne rispecchiavano il carattere, gli affetti, le situazioni quasi suggerendo i modi della recitazione. Esemplare in proposito il contrasto tra il Colombo fiero e imperioso nel secondo atto e il Colombo stravolto dell’epilogo, rappresentato con forte risalto drammatico e anche con un sentimento di umana simpatia. Simpatia totalmente assente nelle immagini dei personaggi di parte spagnola, compresa la regina Isabella con la sua gestualità di devota esagerata che anticipa il tono caricaturale dei figurini di Hohenstein per la processione nel primo atto di Tosca.

005

In contrapposizione Hohenstein descrive le “Indiane” come creature di piena sensualità, in questo forse ispirandosi al gusto di Edel, mentre gli “Indiani”, inquietanti e pittoreschi, sembrano fatti apposta per accontentare i patiti del “colore locale”. Quali le fonti di questo excursus esotico? Esistevano dei repertori enciclopedici specializzati come Il costume antico e moderno di Giulio Ferrario e Les usances […] de tous les peuples del Dally di cui era stata pubblicata anche una versione italiana, ma nel 1892 erano termini di riferimento alquanto datati rispetto a più recenti litografie e cromolitografie che descrivevano – in forme non sempre affidabili – gli abitanti delle terre scoperte da Colombo. Tuttavia l’esame delle fotografie di cantanti negli anni tra il 1870 e il 1890 sembra indicare che la tipologia dei costumi attribuiti a popoli genericamente “americani” fosse stata fissata già nelle opere di Carlos Gomes: con Ludovico Giraud, Pery ne Il Guarany, con Innocente de Anna, Iberè ne Lo schiavo (Parma, Archivio Storico del Teatro Regio). Conservato per oltre un secolo (esattamente 112 anni) nell’Archivio Storico Ricordi, il progetto scenico di Cristoforo Colombo è stato ora riportato in luce; di questo inedito, felice ritrovamento è parso opportuno dare notizia in attesa di futuri studi.

Continua a leggere…


Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *