Una vita per la musica
a cura di Lorella Del Rio
Al nome e alla persona del barone Alberto Franchetti e alla storia della sua famiglia, si legano vividi ed affettuosi ricordi reggiani.
Nato a Torino il 18 settembre 1860, si considerò e venne sempre considerato reggiano d’adozione per l’amore e l’attenzione che dimostrò verso la nostra città. Proprio a Reggio infatti fu rappresentata con sucesso l’11 febbraio 1888 “Asrael”, furono composte le sue opere maggiori quali “Cristoforo Colombo” (1892) e “Germania” (1902); infine qui sposò Margherita, figlia di Arnoldo Levi, proveniente quindi da una delle più importanti famiglie cittadine.
Fu sinceramente legato al nome della nostra città anche il figlio di Alberto, Raimondo, conosciuto con l’appellativo de “l’esploratore”, per l’amore alle grandi imprese e per la vita avventurosa, e che donò, negli anni Trenta, gran parte dei cimeli e del ricchissimo materiale raccolto in tante spedizioni al Museo Civico. Questa istituzione cittadina gli dedicò poi una sezione etnografica (vd. Reggio Storia n. 16, pp. 72-74).
Alberto, figlio di Raimondo e di Sara Luisa Rothschild, derivò amore e sensibilità musicale dalla madre ottima pianista e, dopo aver appreso i primi rudimenti a Torino e vinta l’opposizione paterna, studiò armonia e contrappunto a Venezia con Coccon e Maggi. Nel 1880, passato al Conservatorio di Monaco, studiò con Rhinberger, poi a quello di Dresda con Draeseke e Dretschmer, dove si diplomò in composizione nel 1884.

Giacomo Puccini alle prove di Asrael
Importante saggio rivelatore della capacità dell’artista reggiano risulta la Sinfonia in Mi Minore del 1884 che, pur nell’orbita d’uno stile e d’una concezione tecnica d’impronta germanica e pur essendo un lavoro scolastico (in quanto fu eseguito su tema d’esame) racchiude pregi d’ordine veramente superiori.
Quest’opera venne positivamente commentata anche dalle cronache contemporanee che, tra qualche perplessità, così si. esprimevano: «Ma ad ogni modo è notevole e meraviglioso anzi, il possesso che egli ha dell’arte sua, la sicurezza con la quale dispone le parti e maneggia l’orchestra… è una prova irrefragabile della serietà e della profondità degli studi fatti dal Franchetti e della mirabile sicurezza acquistata in breve tempo… ». (La Sinistra, 25 aprile 1888). Ma l’esordio in teatro viene con “Asrael”, di Ferdinando Fontana, opera che sarà rappresentata nel 1888 anche alla Scala dove, con la direzione del maestro Faccio, otterrà esito magnifico. Tale successo si ripeterà in molti teatri italiani ed esteri, soprattutto in Germania per la freschezza della melodia, la modernità dell’impianto strumentale e la maestria drammatica e tecnica. L’Italia Centrale, del 7 gennaio 1888, così delinea l’impazienza cittadina per la prima dell’opera: « Fra poco gusteremo le bellezze del nuovo lavoro, “Asrael”, l’opera tanto aspettata. Non facciamo giudizi anticipati, ma il valore del giovane maestro ci è arra di nuovi e maggiori trionfi per lui ». E così lo stesso giornale, in un articolo di Giovanni Borelli del 26 febbraio 1888, commenta: «E bestìa sarebbe chi disconoscesse nel poema di Franchetti una concezione vasta e ardita; l’affermazione di un ingegno perspicace, chiaro e acuto, che trova il suo completamento in una cultura profonda e seria, in una conoscenza prodigiosa di tutti gli espedienti più reconditi della tavolozza musicale… per me dispone di una potenza non comune di assimilazione, ma è un modo di assimilazione dal quale non nasce certo la debolezza… è un’assimilazione alla Ponchielli, alla Carducci dalla quale deriva un’originalità nuova determinata dall’eclettismo sapiente… con Asrael egli suggella la propria reputazione artistica, e Reggio è orgogliosa, e lo ha manifestato, di aver dato il vero battesimo a questa nuova speranza della musica italiana». Alla prova generale assistettero insieme a giornalisti, critici nazionali ed esteri, addirittura Puccini e Martucci.

L’apprezzamento di Giuseppe Verdi
Della considerazione goduta dal giovane compositore è testimonianza il fatto che, in preparazione dei festeggiamenti per i 400 anni della scoperta dell’America, il «vecchio» Verdi fece il nome di Franchetti quando il Municipio di Genova lo sollecitò a suggerire il musicista del libretto Cristoforo Colombo di Illica, uscito vincitore dall’apposito concorso. E infatti Giuseppe Verdi, soddisfatto ed entusiasta per l’opera composta dal Franchetti si ricordò del Cristoforo Colombo per tutta la vita: dalla sera in cui applaudì l’opera al teatro Carlo Felice fino agli ultimi anni quando e rievocava al pianoforte le pagine più belle, come testimonia Umberto Giordano. L’opera venne rappresentata a Genova nel 1892, ma per contrasti con l’incontentabile autore, il direttore d’orchestra Luigi Mancinelli abbandonò il teatro alla terza rappresentazione, lasciando la bacchetta al giovane Toscanini « il quale destò meraviglia » scrivono le cronache del tempo « per aver diretto a memoria il poderoso spartito ». L’avvio alla rivalutazione di Alberto Franchetti, venne proprio da Toscanini che, com’è noto, fu propugnatore della creazione dell’Ente autonomo del Teatro alla Scala, il primo ente lirico sorto in Italia. Ebbene, una delle prime opere che il grande Maestro incluse nel repertorio stabile del teatro, fu appunto Cristoforo Colombo nel 1923, cui aggiunse nel 1929 (l’ultimo anno della sua permanenza alla Scala) l’opera Germania. Ma l’esempio fu vano.

Vita brillante e attività artistica
Franchetti diventa così una della figure di rilievo del mondo operistico della fine del secolo, e il suo carattere aperto e gioviale, il suo amore per le automobili, le donne, la moda, il suo pionierismo sportivo (era presidente del Club automobilistico italiano) contribuirono a colorire in vario modo la sua personalità nelle gazzette dell’epoca reggiane e non.
Dopo aver composto il poema sinfonico Loreley e le impressioni sinfoniche Nella selva nera, le Variazioni per quartetto, un Inno per soli, coro ed orchestra, ed alcune liriche (con risultati di scarsa risonanza), Franchetti approdò nuovamente al successo internazionale con Germania dal libretto ancora una volta di Illica, presentata alla Scala nel 1902 sotto la direzione di Toscanini, e più tardi al Metropolitan. A Reggio l’opera arriva mercoledì 1° marzo 1905 e così Italia Centrale commenta la serata al Municipale: «Alle 8 e 12 precise quando il direttore d’orchestra sale sullo scanno, si notano soltanto alcuni palchi e una fila di posti riservati vuoti. La magnifica sala, gremita letteralmente presenta uno splendido colpo d’occhio. Numerose signore e signorine in elegantissime toilettes… siamo di fronte ad un successo pieno, completo, incontrastato. Il Comitato ProTeatro, che a costo di sacrifici non indifferenti, dopo aver triplicato il capitale di riserva ha potuto finalmente raggiungere lo scopo che si era preposto, di dare cioè un’opera in modo da rispondere ad ogni esigenza, può ora essere lieto ed orgoglioso… il Comitato potrà dire veramente di aver allestito uno spettacolo quale da molti anni Reggio non aveva visto e quale si conviene allo splendido edificio che della città forma una tra le principali attrattive».
Il trio Puccini-Mascagni-Franchetti
Le pagine minori del musicista furono: Fior d’alpe (1894), Il signor di Pourceaugnac (1897), La figlia di Jorio (1906) ridotta a libretto dallo stesso Gabriele D’Annunzio, Notte di leggenda (1915), Giove a Pompei (1921) con la collaborazione di Giordano il quale confessava: « Franchetti è stato il maestro di tutti noi », Glauco (1922). La critica fin dai tempi di Germania soprattutto seguendo l’autorità del Torchi, contribuì ad accentuare in generale il giudizio negativo su Franchetti.
Oggi a distanza di molti anni dalla morte, avvenuta a Viareggio il 5 agosto del 1942, la sua opera è completamente scomparsa dai palcoscenici; eppure ci fu un periodo in cui il trio Puccini – Mascagni – Franchetti, era considerato il più promettente della cosiddetta « Giovane scuola»: Puccini risultava essere il più melodico, Mascagni il più focoso, e Franchetti il più dotto, il più erudito e sapiente e fu forse proprio questa sapienza a frenarne la fama.
La critica
Ma più di tutto, come giustamente afferma Roncaglia, «gli nocque una certa difficoltà di ideazione melodica, per cui talvolta i suoi motivi sembrano nascere stentati ed hanno sviluppi faticosi, e ciò toglie talvolta al canto melodico di Franchetti quel calore espansivo e quella prontezza facile di percezione da parte del pubblico… che è tanta parte del successo, anzi che è tanta parte del teatro melodrammatico. Ma il fatto è che il descrittivismo sinfonico di Franchetti ha portato un respiro completamente nuovo nel melodramma, ha aperto nuovi orizzonti che vennero poi percorsi da altri».
Altro dato di merito è l’importanza del coro, continua Roncaglia, «non principale elemento decorativo, ma parte attiva del dramma; inoltre le costruzioni di Franchetti hanno sempre una quadratura classica che le rende solenni anche nei momenti di maggior movimento».
Concludendo si domanda e ci domandiamo: «Non varrebbe la pena di ridestare qualche opera di Franchetti? Questo nostro musicista, anche se non dei maggiori ha delle benemerenze notevoli, a cui spetta quindi un atto di giusta riparazione».
Sarebbe veramente necessario ricoprire questi valori musicali del passato, che appartengono, anche se in modo così contrastato, alla storia della musica e della cultura italiana.
